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Pubblicazione 31 Agosto 2009

Mochipet

Girls Love Mochipet

Nerd, cazzone, eterno teenager, ostentatamente simpatico, tecnicamente dotato. Mochipet si è fatto conoscere per il suo breakcore straludico e ora cerca la legittimazione come produttore tout court
Mochipet (David Wang)
Mochipet
Mochipet (David Wang)

David Wang aka Mochipet, taiwanese di nascita, californiano d'adozione (e probabilmente per vocazione), ha cominciato a pasticciare con aggeggi elettronici da piccolissimo. Il minimo, con un padre incarnazione dei sogni proibiti di qualsiasi bambino: ingegnere aerospaziale. Scienziato pazzo insomma. Quando David ha scoperto che con l'elettronica ci si poteva pasticciare anche la musica, ha imboccato la via del non ritorno. Adolescenza a base di heavy metal, jazz e hip-hop commerciale, e trafila da smanettone d'oggi, internauta (e web designer), dj in radio e per set festaioli, compilatore, produttore.

Ha cominciato regalando cdr e inviandoli per posta in cambio delle spese di spedizione, poi, visto il successo, si è convertito all'ortodossia distributiva, sempre autogestendosi però, attraverso la Daly City Records (dal nome della cittadina della Bay Area in cui si è trasferito). David si è velocemente costruito la fama di produttore genialoide e giocherellone: secondo alcuni, addirittura, miglior act elettronico del 2008. Prolificissimo, considerando che il primo cdr risale al 2002, ha già una decina di long e altrettanti mini a suo nome, non contando ovviamente le produzioni slegate, i remix, i progetti extra-discografici (musiche per videogiochi e video sportivi) e le collaborazioni sparse (su disco, due nomi, Ellen Allien e Daedelus).

Con che musica si è fatto conoscere Mochi? Un pastiche elettronico, preferibilmente uptempo, di breakbeat (santificato in dischi come Randbient Works, 2002, Feel My China, 2005, e ovviamente Girls Love Breakcore, 2007, il disco della definitiva emersione dall'underground), hip-hop & derivati (e derive, tipo contaminazioni ragga), techno (fino a tamarri gabberismi e cose alla Atari Teenage Riot, ma leggermente più morbide) e videogame, con campioni onnivori (segnaliamo la sua ossessione per la polka) e un approccio ludico alla Ween o They Might Be Giants (e qualcuno ha scomodato anche Frank Zappa, ma non è il caso) come percussivamente frullati, come uno Squarepusher meno stilizzato e un Hudson Mohawke immerso nella naïveté, il tutto sempre e comunque spruzzato di gas esilarante.

Su Combat (2003) ha giocato a fare il bastard pop, sempre in salsa breakcore, esplicitando le fonti sonore dei suoi mishmash postmoderni: NoMeansNo, Justin Timberlake, Captain Beefheart, Johnny Cash, Aphex Twin (ebbè). Ma non di solo breakcore si vive, e piano piano ecco il nostro tastare e testare territori altri. L'ambientglitchbreakgame di Uzumaki (2004), ad esempio, l'electro-IDM di Disko Donkey (2006), ottimi, fino alla svolta di Microphonepet (2008), disco infarcito di feat vocali e praticamente hip-hop sensu latu, preludio al pacioso eclettismo produttivo di Bunnies and Muffins e alla gametronica monumentale e minacciosa, ma in fondo sempre giocosa, di Master P on Atari (entrambi 2009).

David è bravo e simpatico, e ci piace, ma abbiamo come l'impressione che non si sia ancora espresso al massimo, che non sia ancora maturo sotto il profilo della gestione di se stesso e delle proprie (grandi) capacità. Vogliamo allora spaccare il capello in quattro, e chiudere con due indizi, con due dubbi. Il nome d'arte scelto, qualcosa come "cucciolo (fatto) di mochi". Il mochi è una varietà di dolcetti giapponesi, diffusi anche a Taiwan, a base di pasta di riso, variamente farciti, conditi, decorati, colorati. A parte l'immagine pacioccosa e teneramente nerd (parola chiave questa, ma lo si era capito) che il nome evoca (ma bastano da sole le foto con quei buffi costumi, preferibilmente da dinosauro), il mochi è anche una piccola chiave di lettura del modus musicandi di Mochipet.

Per David la musica sembra essere come quella pasta di riso lì: una materia da modellare, da stravolgere, con cui giocare, con cui creare miniature, ma con la quale non ci si sazia, lui come pure l'ascoltatore. E questa insaziabilità, e qui parte il secondo indizio, porta ad una bulimia produttiva (detto altrimenti, dispersività). La Press Bio disponibile sui siti legati a Mochi è in tal senso illuminante. Manca la data di nascita, occhei (ma chi se ne frega, avrà tipo 25 anni), ma manca soprattutto qualsiasi indicazione discografica: non un solo titolo di un disco che sia uno. Il che è francamente allucinante. Visto che a tutt'oggi, purtroppo o per fortuna, la carriera di un artista si pesa ancora sulla produzione discografica, sulla musica fissata su supporto. Allucinante, ma in fondo anche ragionevole, se si pensa alla mole e all'omogeneità qualitativa delle produzioni.

Gabriele Marino

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